Cosa resterà? L'essenza di me.
Leggere e scrivere, what else?
A Roma c’è un detto: “poi perde ‘n’amico, no ‘na battuta”.
Se esistesse una “centrifuga di romanità” sarebbe tutta in questa frase. Divertente, ma cattiva, dissacrante e apparentemente irrispettosa.
Non per nulla Roma è la città di Pasquino, delle statue parlanti, della metafora grottesca e divertente, dell’ironia e soprattutto, dell’autoironia.
Oggi in TV e al cinema, la romanità è stata sdoganata con la parolaccia, la maleducazione, il dialetto volgare, ma la storia ci racconta dei romani come gente diversa da quella che vediamo rappresentata.
Il popolo romano è stato per grande parte della propria storia soggiogato, dagli imperatori, dai papi, dagli invasori e in tempi recenti da un retaggio di grandezza che si può soltanto descrivere al passato.
Il popolo romano ha e ha avuto sempre una sola arma: la parola.
Per questo l’ironia è diventata una forma di sopravvivenza e d’arte. La loro e la mia.
Per me ironia non è soltanto una battuta ad effetto, ma prendere la vita con leggerezza ed è soprattutto verso di me che la rivolgo.
È stato ed è il mio modo di sopravvivere alla quotidianità e alle tante bruttezze che si incontrano nella vita, essendo anche un modo per proteggere me stessa.
È la testimonianza di una radice che trova forza nella storia della città a cui appartengo e nelle mie generazioni precedenti, ma anche un modo di concepire la vita sapendo che è un bellissimo gioco.
Cosa lascerò un giorno come mia profonda essenza?
Non lo so, ma spero un mezzo sorriso a completamento di una frase che farà sorridere e pensare allo stesso tempo.