
No, non dovevo e non l’ho fatto.
Sono l’autrice di uno spettacolo teatrale il cui titolo è “Roma è donna“.
Uno spettacolo la cui prima, il 2 giugno, è andata molto bene nonostante un budget imbarazzante -meglio dire inesistente- e millemila intoppi precedenti al giorno della prima. Portato in scena dalla compagnia Crack dell’Associazione GEA.
Sono l’autrice di un testo che è stato molto apprezzato e che dopo aver scritto è stato editato dalla bravissima Sara Ercoli (attrice, scrittrice, insegnante e un sacco di altre cose!).
Lavoro svolto grazie alla community a cui appartengo fondata da Francesco Trento: “Come si scrive una grande storia“.
Ho aiutato nello spettacolo per permettere all’attrice di non impazzire con i cambi di costumi, al momento della chiusura sono stata citata come autrice e ho ricevuto un lungo applauso gratificante.
Non sono salita sul palco.
Alcuni mi hanno chiesto perché, rimproverata perché avrei dovuto farlo. No. Non per falsa modestia, non per un morettiano “mi si nota di più se non salgo?”, ma per due motivi di cui sono fermamente convinta.
Il primo e più importante: scrivere è un atto privato, ma quando il testo si propone al pubblico (che sia un libro, uno spettacolo teatrale o una sceneggiatura di un film o di una serie TV) cessa di appartenere all’autore.
Il testo stesso assume le forme e le intenzioni che il lettore o lo spettatore vorranno dargli. L’autore deve sparire dietro alla propria storia e solo quella deve essere il fulcro di tutto.
A differenza (forse) degli attori e dei registi che nello spettacolo si cimentano in un virtuosismo professionale, la gratificazione massima dell’autore è sapere che la sua storia vale la pena di essere raccontata.
Ho lasciato agli spettatori la possibilità di immaginare la penna che scrive la storia che hanno ascoltato senza una mano, senza un volto… è il mio modo per renderla più grande di me. Chi è che parlava di modestia?
Secondo motivo, altrettanto importante: l’autore in teatro non sale mai, se non per vanità o in casi molto particolari. Perché il teatro appartiene agli attori, al regista e ai tecnici e loro devono essere celebrati.
La storia che questa piccola compagnia hanno raccontato è stata interpretata e portata al pubblico in un modo solo loro. Attraverso il sentire del loro regista Alberto Pompei e degli attori sul palco, Federica Filippi e Edoardo Boscaratto.
Una compagnia di giovani under-30, che ancora hanno fiducia in un mondo che non li tratta affatto bene, che si presentano come amatori del teatro, ma hanno la grinta e l’impegno dei professionisti.
Un gruppo di ragazzi a cui, chi li definisce una generazione vuota, dovrebbe chiedere scusa.
Loro era il palco, non mio.
Ecco quindi perché non sono salita. La mia storia era già lì, celebrata da protagonista.
Il mio delirio di felicità non poteva essere più perfetto di così.