Un caffè che sa di buono.

Interno giorno – quartiere San Lorenzo – Roma
 
Ciondolo in una caffetteria, che è anche pizzeria e di tutto un po’, mentre aspetto una persona.
 
Il proprietario, di chiara origine pakistana, sta dietro al banco a preparare un vassoio per ragazzi chiassosi e divertenti seduti fuori.
 
Arriva un uomo decisamente in male arnese e chiede al proprietario: “Hai mica qualche avanzo da darmi?” ha lo sguardo basso, mortificato.
Lui lo guarda e gli risponde: “Mi aiuti a portare dentro i vassoi vuoti?”, l’uomo alza la testa, come se gli avessero dato una bella notizia, si stende la giacca sporca e si scaraventa sulla piazzetta. Raccatta tutto quello che può e lo porta dentro.
 
Nel frattempo il proprietario serve al tavolo i ragazzi e tornato dentro prepara due ettometri di pizza, ci aggiunge due supplì, acqua e li mette ad un tavolo.
Poi spiega all’uomo che quello è il suo compenso. Lo fa senza muovere un muscolo, senza pietismo, rimanendo serio come quando ha preparato e servito i ragazzi o il mio caffè.
 
Mi alzo, intenzionata a pagare almeno i due supplì dell’uomo, davanti a me c’è un signore ben vestito che paga il suo piatto e poi aggiunge: “Quanto costa il suo piatto?” indicando l’indigente e porgendo una ulteriore banconota da 10€ al suo conto.
Mi aggancio a lui e dico: “Vorrei contribuire…”.
 
Il proprietario ci sorride, ci ringrazia e dice che no, non può accettare: “Il mio Dio insegna: sfama e disseta chi ha fame e sete. Che uomo sarei a pregare e non mettere in pratica?
Con l’altro uomo ci guardiamo, non so cosa pensa lui, a me balena la spiaggia di Cutro, i morti nel Mediterraneo, gli schiavi nei campi, la tanta brava gente che chiamerebbe quest’uomo “un invasore“.
Insieme lasciamo i soldi sul banco, come mancia o forse per la lezione ricevuta.
 
Ho pagato un caffè 4euro. Un caffè che faceva schifo, ma sapeva di buono e profumava di umanità.